L'importanza della rappresentatività del mondo reale è ormai un dato assodato nell'ambito informatico e digitale in genere. L'uomo ha sempre cercato, sin dai suoi primi passi, di rappresentare le sue vicende, i suoi successi e i suoi fallimenti attraverso la rappresentazione figurata degli eventi di cui è stato protagonista o semplice osservatore. L'immagine è venuta prima della scrittura. La scrittura stessa non è altro che l'evoluzione stessa dell'immagine in forme altamente più complesse (dal rappresentativo al concettuale). Dai graffiti sulle pareti di una caverna si è passati alla pittura e, successivamente, quando determinate tecnologie lo hanno permesso, alla "registrazione" del reale attraverso la fotografia. Prima con il solo bianco e nero, successivamente con il colore.
Il punto successivo è stata la capacità di "cogliere il movimento", quindi le riprese filmate. Dall'analogico si è passati, poi, al digitale. Cioè al passaggio mediato dalla "rappresentatività come forma" alla "rappresentatività come forma e sostanza" nel tentativo di "creazione" di un mondo alternativo basato, non sulla materia, ma sui numeri (realtà virtuale) cambiando, quindi, non solo la forma di rappresentazione ma anche la sostanza-materia (analogico) in sostanza-numerica (digitale). Ma questo è un altro discorso.
Qui cominceremo a parlare di fotografia.
Il termine fotografia trae origine dai termini greci photos e graphos, indicanti rispettivamente la luce e la scrittura. Infatti questa tecnica usa la luce per disegnare/scrivere le immagini, risulta perciò appropriato il termine “scrittura della luce”.
La fotografia è il frutto di un lungo percorso fatto di numerosi studi e differenti discipline: fisica, chimica, ottica, meccanica, ecc.
Il principio della camera oscura (ovvero il principio che in una camera buia la luce che attraverso un foro produce un’immagine capovolta sulla parete opposta a questo) era già noto agli scienziati arabi che lo impiegavano per lo studio delle eclissi. Trasmesso alla cultura occidentale con Aristotele, che compì studi sulla luce, tornò in auge solo nel Rinascimento, quando divenne strumento comune tra pittori e disegnatori per ottenere bozze per le loro opere.
Nel 1700 diversi studi in ambito chimico permisero di scoprire la sensibilità alla luce dei sali d’argento.
Il chimico francese Joseph-Nicéphore Niépce ottenne la prima immagine incisa dalla luce nel 1827.
Louis-Jacques Mandé Daguerre (che collaborò con Niépce, nel 1739 mise a punto un procedimento noto come dagherrotipia.
Nel 1839 l’inglese W.H.F. Talbot ottenne la prima fotografia realizzata attraverso il procedimento positivo-negativo, chiamato calcotipia, questo evento è considerato come la nascita della fotografia.
L’architetto inglese F. Scott Archer sviluppò il procedimento al collodio e, su suo progetto, nel 1853 venne realizzata la prima fotocamera “trasportabile” che conteneva anche l’occorrente per sviluppare le lastre. Nel 1854 le lastre in rame vennero sostituite da una bobina in cui era arrotolata carta oleata: la prima pellicola a rullo.
Nel 1888 G. Eastman realizzò la “Kodak n.1”, una scatola con rullo in celluloide anziché in carta trasparente, sufficiente per cento negativi. La scatola si restituiva alla fabbrica che stampava i negativi migliori restituendoli, insieme alla macchina ricaricata, al proprietario: la fotografia era diventata accessibile a tutti!
Ad E.H. Land (USA) si deve l’invenzione di una prima soddisfacente fotografia “istantanea” che nel 1948 venne messa in vendita con la prima “Polaroid mod. 95”. Il 25 aprile 1972 Land presenta la prima macchina che espelle il materiale, lo sviluppo si compie fuori dalla macchina in pochi minuti (sistema SX-70).
Fine della prima parte.
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