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Storia dell'Informatica nel mondo: Apple (Parte 6) - Aqua e iOS

Apple: dall'interfaccia a caratteri fino ad iOS (passando per Aqua)

All’inizio dei tempi l’interfaccia dei computer era a linee di testo. L’interfaccia grafica arrivò sul mercato nel 1983 con Apple Lisa. L’interfaccia grafica era immaginata come la metafora di una scrivania: c’erano cartelle che contenevano le icone dei file (documenti ed applicazioni), ed il cursore pilotato dal mouse a rappresentare la mano dell’utente. Il cursore selezionava l’icona e attraverso la barra dei menu impartiva il comando, come “Apri”.

Il documento si apriva all’interno di una finestra per poter essere gestito in un piccolo schermo, bianco come la carta (fino ad allora i monitor erano stati scuri con i caratteri alfanumerici in verde), delle dimensioni di 640 punti per 480. In basso a destra c’era un cestino in cui si potevano trascinare i documenti, e tutto quanto (sistema, applicazione e documenti) stava in un floppy disk rigido di 400 Kbyte che costituiva l’intera memoria di massa, mentre il computer aveva una RAM di 128 Kbyte, subito incrementata a più realistici 512 Kbyte (il Fat Mac!). Quella semplice interfaccia costituisce da quasi trent’anni la base dell’interfaccia di ogni computer e di ogni sistema operativo.
Fino alla vigilia dell’attuale sistema Mac OS X 10.7 Lion ed all’annunciato Windows 8 le cose sono andate così, nonostante nel frattempo la capacità di archiviazione dei dati dei computer sia aumentata più o meno di due milioni di volte, ed il PC sia passato da un oggetto per nerd a un’elettrodomestico onnipresente in ogni luogo di lavoro e in ogni casa.

Eppure negli anni non sono mancate idee per interfacce alternative ed efficienti. La prima arrivò già alla fine degli anni ottanta ancora in epoca di floppy disk con HyperCard di Bill Atkinson. Non solo HyperCard era un rivoluzionario software in grado di mettere a disposizione dell’utente comune (“the rest of us”) gli elementi dell’interfaccia Mac perché potesse creare applicazioni su misura, ma soprattutto con la sua metafora di un mazzo di carte e con le icone delle frecce a destra (precedente), a sinistra (successivo), freccia indietro, home e lente d’ingrandimento (cerca) mostrava un modo nuovo ed intuitivo di interfacciare con i computer. HyperCard suggerì a Tim Berners-Lee, ricercatore al CERN, l’idea dell’interfaccia del world wide web, cioè le pagine del web, che realizzò usando un computer NeXT (la allora recente nuova creatura di Steve Jobs).
L’interfaccia del web è del tutto differente dalla metafora della scrivania dei sistemi operativi, ed oltre tutto risolve brillantemente il problema della gestione dei file. Al tempo dell’interfaccia a linea di comando il percorso di ogni file doveva essere scritto (o quanto meno considerato) per intero. Con Macintosh ogni file poteva essere posto in una sequenza di cartelle che (dal file system HFS in avanti) ne costituiva il percorso: invece di scriverne tutto quanto il percorso, l’utente si limita a cercarlo e selezionarlo con il mouse. Quando però il numero dei file arriva alla milionata, com’è comune negli hard disk di oggi, anche questa banale operazione comincia a diventare complessa. Il lavoro di archiviazione dei dati è basato ancora oggi su uno sforzo di organizzazione da parte dell’utente che invece potrebbe e dovrebbe essere svolto dall’ “intelligenza” del software. Sul web non abbiamo l’abitudine di digitare il percorso della pagina che vogliamo aprire, ma ci arriviamo sia tramite link di ipertesto che grazie ad efficientissimi motori di ricerca. Pur non rinunciando alla metafora della scrivania, Apple ha realizzato un motore di ricerca per il proprio sistema operativo Mac OS a partire dal 2005 con il nome di spotlight, che finora non ha brillato né per efficienza (la ricerca del motore di ricerca di Google su tutti i documenti mondiali appare più rapida di quella di spotlight su quelli dell’hard disk locale) né per interfaccia, sempre sorprendentemente scarna (fino a ieri le ricerche erano ordinate per ordine alfabetico anziché cronologicamente o per importanza).
Nonostante impegnativi ripetuti proclami, specie da parte di Microsoft, la creativa interfaccia del web non è mai penetrata a fondo nel sistema operativo del computer e soprattutto non ha mai rubato il posto alla metafora della scrivania.

Aqua
Aqua iden­ti­fi­ca il tema e l'in­ter­fac­cia gra­fi­ca uti­liz­za­ti dal si­ste­ma ope­ra­ti­vo Mac OS X. Il nome non è as­so­cia­to a una spe­ci­fi­ca in­ter­fac­cia gra­fi­ca quan­to a una serie di re­go­le le­ga­te alla rea­liz­za­zio­ne del­l'in­ter­fac­cia stes­sa. Que­ste re­go­le com­pren­do­no il di­se­gno degli ele­men­ti gra­fi­ci e la loro di­spo­si­zio­ne.
Il nome Aqua venne scel­to per­ché il tema del­l'in­ter­fac­cia gra­fi­ca ri­cor­da l'ac­qua. I pul­san­ti sono prin­ci­pal­men­te di co­lo­re blu tra­slu­ci­do e l'in­ter­fac­cia gra­fi­ca fa un ampio uti­liz­zo di se­mi­tra­spa­ren­ze o di su­per­fi­ci che sem­bra­no tra­slu­ci­de. Il di­se­gno del tema ori­gi­na­le di Aqua è ispi­ra­to ai case tra­slu­ci­di e se­mi­tra­spa­ren­ti dei primi iMac e dei Power Ma­cin­tosh G3. Quan­do Apple, nel 2003-2004 de­ci­se di ab­ban­do­na­re i case se­mi­tra­spa­ren­ti e di op­ta­re in­ve­ce per l'u­ti­liz­zo di al­lu­mi­nio ano­diz­za­to (come negli Apple Ci­ne­ma Di­splay) o in pla­sti­ca bian­ca, fu ag­gior­na­to anche il tema, in­cor­po­ran­do un look più opaco e me­tal­liz­za­to e dando meno peso a tra­spa­ren­ze e sfon­di ri­ga­ti.
Le due ca­rat­te­ri­sti­che prin­ci­pa­li di Aqua sono i pul­san­ti tra­slu­ci­di usati per con­trol­la­re le fi­ne­stre (co­lo­ra­ti rosso, gial­lo e verde) e il Dock uti­liz­za­to per fa­ci­li­ta­re la na­vi­ga­zio­ne tra le ap­pli­ca­zio­ni.
Vi sono due stili di pre­sen­ta­zio­ne delle fi­ne­stre in­clu­si in Aqua: Stan­dard e Bru­shed Metal. Lo stile Stan­dard con­tie­ne bot­to­ni tra­slu­cen­ti, come se fos­se­ro fatti di vetro. I pul­san­ti ven­go­no di­spo­sti nella parte su­pe­rio­re della fi­ne­stra. Lo stile Bru­shed Metal uti­liz­za una va­rie­tà del gri­gio che ri­cor­da il case del Power Mac G5, i pul­san­ti sono di­spo­sti den­tro la fi­ne­stra. Inol­tre a dif­fe­ren­za dello stile pre­ce­den­te molti pul­san­ti sem­bra­no fatti di pla­sti­ca aven­do un co­lo­re meno lu­mi­no­so ri­spet­to ai tasti dello stile Stan­dard. Con l'u­sci­ta di Mac OS X 10.5 Leo­pard si è visto l'ab­ban­do­no da parte di Apple dello stile Bru­shed Metal, a fa­vo­re del Solid Metal, già visto dagli uten­ti in iTu­nes a par­ti­re dalla ver­sio­ne 5.0.
Aqua è ge­sti­to da Quar­tz Com­po­si­tor, il mo­to­re alla base della rap­pre­sen­ta­zio­ne gra­fi­ca di tutti gli ele­men­ti sullo scher­mo di Mac OS X

Origini di Aqua
Aqua ori­gi­na­ria­men­te nasce con il pro­gram­ma iMo­vie 2. In iMo­vie 2 i pul­san­ti e le barre di scor­ri­men­to erano di­se­gna­te con il tema Aqua. Visto il suc­ces­so ri­scos­so del nuovo tema Apple de­ci­se di ren­der­lo il tema stan­dard del Mac OS X Pu­blic Beta che venne pre­sen­ta­to nel­l'au­tun­no del 2000. Il tema fu molto ap­prez­za­to e quin­di ri­ma­se come tema stan­dard del Mac OS X.
Aqua viene uti­liz­za­to da tutte le ap­pli­ca­zio­ni na­ti­ve per Mac OS X e le ap­pli­ca­zio­ni Car­bon, solo l'am­bien­te Clas­sic non uti­liz­za Aqua per ra­gio­ni di com­pa­ti­bi­li­tà.

Le librerie grafiche del Mac OS X
Spes­so si iden­ti­fi­ca la GUI di Mac OS X con Aqua. Ciò è vero anche se è una vi­sio­ne su­per­fi­cia­le. Una GUI può es­se­re for­ma­ta da una serie di temi molto di­ver­si tra loro (Aqua, Bru­shed Metal, ecc) ed es­se­re co­mun­que una GUI. Se ci si ri­fe­ri­sce ad Aqua come a tutto ciò che è vi­si­bi­le su Mac OS X al­lo­ra la de­fi­ni­zio­ne è cor­ret­ta. Aqua è l'ul­ti­mo stra­to della GUI, la GUI è for­ma­ta anche da Car­bon, Cocoa, Clas­sic, ecc. Aqua è solo lo stra­to più ele­va­to della GUI, ciò che è vi­si­bi­le. Ma anche i li­vel­li sot­to­stan­ti fanno parte della GUI.

iOS
Il primo computer commerciale a proporre un’interfaccia completamente differente da quella del Macintosh del 1985 fu realizzato ancora una volta ad opera di Apple, con iPhone nel 2007 o, se si preferisce, con iPad nel 2010. iOS (così si chiama il sistema operativo di entrambi) non utilizza la metafora della scrivania, ma appare come un oggetto reale che “cela” un computer, così come era stato correttamente preconizzato per il computer del futuro. iOS funziona come uno scaffale di scatole da scarpe: con un tap del dito l’utente sceglie l’icona dell’applicazione (chiamata in gergo app) la cui “scatola” si apre occupando l’intero spazio messo a disposizione del device (il telefono oppure l’iPad). L’utente interagisce solo con quella applicazione in maniera intuitiva senza occuparsi di concetti come sistema operativo, file, documenti. Il file-system gli è del tutto nascosto e l’utente non ne sente alcun bisogno. Quando l’utente chiude la scatola può aprirne un’altra, e quando vuole riaprirla la troverà nello stesso stato in cui l’ha lasciata. Questo modello di interfaccia si è dimostrato enormemente più semplice da usare che quello del computer tradizionale, e a tutt’oggi gli hanno fatto difetto solo un paio di caratteristiche che probabilmente sono dietro l’angolo, in arrivo sotto forma della versione 5 di iOS: l’indipendenza dal computer e lo scambio di file.
iOS è nato con il telefono (iPhone) ed in Apple si era ritenuto conveniente prendere a prestito il modello di funzionamento di iPod, satellite ad un computer che facesse da casa base. L’universale ed in qualche modo imprevisto successo di iPhone ed iPad, che ha scavalcato di molto l’argine dell’utenza tradizionale dei personal computer, ha portato però a riconsiderare la dipendenza da un computer. Il sistema operativo che avremo fra qualche giorno sulle nostre macchinette permetterà di aggiornarsi da sé senza l’aiuto di nessun computer. La stessa cosa mi auguro che avverrà per lo scambio di dati (il vero tallone d’Achille di iPad) che ora con la tecnologia AirDrop dovrebbe essere svolta in modo del tutto intuitivo spedendoli a iPhone, iPad, iPod o Macintosh fisicamente nei dintorni.
Tutta l’esperienza realizzata con iOS si è dimostrata decisiva per la realizzazione del nuovo sistema operativo di Mac, Lion, al secolo la ottava versione di Mac OS X. Lion dovrebbe rappresentare la versione definitiva di quel Mac OS X che è sui Macintosh dal 24 marzo del 2001, forse l’ultima prima di Mac OS XI. Lion non si accontenta affatto di perfezionare il vecchio System, ma piuttosto scombina le carte introducendo una quantità di elementi nuovi che verranno affinati nelle release prossime venture del sistema, per le quali non si conosce ancora la specie di mammifero che verrà scomodata.
L’interfaccia grafica di Mac OS X Lion è ancora Aqua, anche se è diventata più pulita e ordinata rispetto alla versione utilizzata in Snow Leopard.
Sono in molti a credere in un grande rinnovamento del tema di Lion nella versione finale del sistema operativo. 
L’elemento più importante attorno a cui gira l’idea di Lion è la semplificazione della gestione dei file. iOS aveva eliminato la gestione del file-system abolendo il Finder senza però sostituirlo con niente altro: ogni programma tratta i propri documenti nella propria scatola, e lo scambio dei documenti è prevista più come un’operazione di esportazione che come una condivisione di dati. (Da questo punto di vista iOS è esattamente il contrario dell’abortito vecchio progetto di OpenDoc: un sistema orientato alle applicazioni invece che ai dati).
Le applicazioni del computer vengono presentate sul desktop con un look alla iPad tramite una funzione che prende il nome di Launchpad, e tutto quanto accade sul piano di lavoro del computer (cioè in RAM, in definitiva) è mostrato molto comodamente da un’altra funzione che si chiama Mission Control.
Però un po’ il programma bara, perché alla resa dei conti sotto la scrivania il Finder c’è ancora, ed è ancora il solito vecchio Finder del Macintosh del 1985. Alla fine l’utente qualche documento deve chiuderlo, in un hard disk che ne può stivare a milioni, e deve poi essere in grado di rintracciarlo; lo strumento che ha a disposizione risulta essere ancora il vecchio Finder. Le cui finestre sono le vecchie scomode finestre statiche, che anche se possono essere ridimensionate da ogni lato ancora non lo fanno in modo automatico ed intelligente in base all’affollamento del Finder e del numero di documenti della finestra. Anzi, peggio, nella vista di default (“tutti i miei documenti”) i documenti di ogni tipo sono posti lungo linee orizzontali e per essere trovati devono essere scorsi con il mouse o con le gestire - in effetti esiste un'opzione "mostra tutti"). Quasi come se Apple si vergognasse del Finder, ne ha nascosto quanto possibile le funzioni ma non lo ha rimpiazzato con nessuna finestra di ricerca (questo infatti significa “finder”) più moderna, intuitiva od efficiente.
Per l’utente di media esperienza non c’è nulla di male. Sa com’è organizzato il file-system di MacOS e sa dove e come trovare i documenti. 
Per l’utente meno informatizzato, sono dolori. La logica dell’organizzazione dei file è quanto più possibile nascosta, e confusa dalla contemporanea logica della “ricerca” e del file-system (ti mostro i documenti per tipo o per data di modifica ma anche nelle cartelle tradizionali).
Si pone anche un problema di ridondanza di interfaccia. Per esempio, le applicazioni si trovano tanto sul dock che in Launchpad (più una “terza volta” in cartella Applicazioni). . In secondo luogo la ricerca di spotlight sull’angolo destro della barra dei menu mette i risultati in un menu anziché in una finestra del Finder. 
Le altre novità: lo scorrimento naturale corregge l’errore dello scorrimento inverso. Le gesture funzionano bene con una e due dita, mentre diventano un tantino problematiche a tre o quattro: il trackpad non è ancora pronto a sostituire il mouse, specie sui sistemi desktop, mentre sui portatili mission control si raggiunge più facilmente con il tasto funzione. Spaces è scomparso, o meglio automatizzato dal sistema.
La vista a tutto schermo risulta molto comoda sui portatili.
AirDrop, cioè la capacità di scambiare i documenti con i computer vicini, funziona così bene che ci si domanda perché non si sia vista prima: è sufficiente che entrambe le macchine aprano la finestra AirDrop perché si vedano e possano spedirsi file l’un l’altro, seppure non troppo rapidamente. Per grandi volumi è sempre meglio appoggiarsi ad un disco.
Lion non è un punto di arrivo, ma un serbatoio di idee da affinare nel futuro, come tradizione di ogni prodotto Apple.
Fine della Sesta Parte

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