Chi era in realtà l'ingegner Perotto? Potremmo dirlo un "riottoso progettista", come si definiva egli stesso. Di fatto le sue azioni sono sempre ispirate da una sorta di concretezza creativa: è un geniale inventore che riesce a dare corpo alle proprie idee, che quasi sempre precorrono i tempi, come presto vedremo. Il progetto, che è per lui soluzione concreta, intelligente e creativa, funzionale a un problema specifico, finisce per improntare uno stile di vita aziendale.
In questo senso Perotto, uomo dalla parte del progetto, diventa inevitabilmente uomo di parte, come emerge analizzando il suo atteggiamento in tutti gli anni che hanno caratterizzato la sua attività in Olivetti.
La sua storia è fatta di incomprensioni da superare, di intese subitanee, di alleanze da coltivare, di mentalità elettronica da far crescere, di nucleo del progetto da difendere, per conservarlo intatto nei suoi contenuti stravolgenti e innovativi: il tutto sullo sfondo di un'azienda molto complessa e spesso contraddittoria nella definizione delle strategie operative. Proteggere il progetto e proteggere il gruppo di progetto diventò un segno distintivo di Perotto, peraltro generalmente conosciuto e apprezzato per la sua correttezza e generosità: questo particolare mix di qualità tecniche e umane ingenerava nei collaboratori un forte senso di appartenenza, che fu sicuramente alla base del successo che egli condivise con un numero ristretto ma ben assortito di eccellenti collaboratori.
Un progettista "non allineato"
Non possiamo dimenticare che Perotto si è trovato a operare nel periodo in cui Natale Capellaro, una singolare e valorosa figura di operaio-inventore, aveva progettato la macchina da calcolo Divisumma 24, un prodotto cui aveva arriso un clamoroso successo di mercato, tanto da meritare allo stesso Capellaro la posizione di Direttore Generale dell'Olivetti e la laurea in ingegneria, honoris causa, dall'Università di Bari.
Il Direttore Generale Capellaro aveva dunque raccolto attorno a sé un gruppo di progettisti che non erano né ingegneri, né laureati (molti in realtà avevano solo la licenza elementare), ma erano tutti dotati di straordinaria genialità e creatività. Questo gruppo inventò, praticamente al di fuori di qualsiasi circuito accademico, una nuova meccanica assolutamente non convenzionale: era una meccanica non di forza, che potremmo piuttosto definire dei segnali deboli, adatta quindi a trasmettere e a manipolare la leggerezza dell'informazione. La sua materia prima per eccellenza era la semplicissima lamiera.
Oltre tutto, nei primi anni '60, la situazione del mercato non lasciava presagire nel breve termine un ingresso dell'elettronica tra i prodotti per ufficio, potendosi pensare al massimo a qualche sua applicazione marginale. Per questo a Ivrea erano in preparazione prodotti meccanici di alta sofisticazione, a tecnologia meccanica, sia nel campo delle calcolatrici che in quello delle macchine contabili.
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