Alla fine degli anni '50 Olivetti occupava una posizione del tutto particolare nel panorama industriale italiano, caratterizzandosi per certe sue specifiche peculiarità: esprimeva infatti una straordinaria miscela di tecnologia avanzata, di organizzazione aziendale illuminata, di apprezzamento della cultura, di orientamenti sociali della fabbrica, di capacità di generare profitto al di fuori di ogni logica di sfruttamento della persona umana. Il fondatore, Camillo, socialista amico di Turati, impegnato politicamente, non poteva accettare l'arretratezza tecnica e sociale del sistema industriale italiano in rapporto ai paesi più evoluti su questi fronti e si era preoccupato pertanto di realizzare in Olivetti un programma di servizi sociali che precorreva i tempi e non aveva riscontro in nessun'altra azienda italiana.
Il figlio Adriano, presidente dal 1938, cresciuto in questa particolare atmosfera, interpretò al meglio gli ideali del padre e realizzò nel secondo dopoguerra il suo modello di azienda, improntando le politiche di sviluppo dell'Olivetti a una ricerca incessante di innovazione per la fabbrica e per i suoi prodotti, che si ispirarono all'architettura, all'urbanistica, alla sociologia, alla pittura, alla letteratura, in una visione nella quale la fabbrica veniva concepita come strettamente integrata nella società civile e finalizzata a elevare il benessere e la qualità della vita.
Il sogno di Adriano
Grazie a questa sua particolare mentalità, Adriano, prima di altri, vide nell'elettronica un'opportunità nuova, uno stimolo aggiuntivo per un'azienda che aveva sempre sviluppato tecnologie completamente meccaniche. E forse davvero l'intuizione gli era nata nel 1949, ascoltando il suggerimento che Enrico Fermi, allora in visita in Italia, rivolgeva ai presenti nel corso di un incontro presso l'Università di Pisa, di progettare e costruire un calcolatore elettronico italiano per uso scientifico. Dunque, nel 1954 non aveva esitato ad associare a pieno titolo l'Olivetti al neonato Centro Studi Calcolatrici Elettroniche (CSCE), che si costituiva presso l'istituto di Fisica dell'Università di Pisa e che, per dare concretezza all'idea espressa dal grande fisico, si metteva al lavoro per la realizzazione del primo calcolatore elettronico italiano. A partire dal 1957 la responsabilità dello sviluppo hardware del progetto CEP (Calcolatrice Elettronica Pisana) toccava proprio a un uomo dell'Olivetti, l'Ingegner Giuseppe Cecchini.
Questo primo impegno concreto non parve tuttavia sufficiente ad Adriano. Anticipatore dei tempi, come già abbiamo rilevato, egli aveva una concezione rivoluzionaria anche dell'organizzazione del lavoro: a suo avviso le strutture organizzative dovevano aiutare l'uomo nel processo creativo, anziché opprimerlo, come quasi sempre avveniva nella realtà; questa sua concezione poteva esprimersi nel modo migliore attraverso un sistema di lavoro basato sul piccolo gruppo, dotato di forte autonomia e impiegato a generare innovazione senza eccessivi condizionamenti derivanti dalle strutture.
Così l'anno successivo aveva avviato a Barbaricina, una località nell'immediata periferia di Pisa, un proprio centro di ricerca sul calcolo elettronico, finalizzato ad applicazioni industriali.
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