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Pier Giorgio Perotto (2)

Ritornando dunque all'ingegner Perotto, dopo la realizzazione del convertitore nastro-schede lo ritroviamo nei Laboratori di Ricerche Elettroniche di Borgolombardo, a capo di un gruppo di studio e progetto per applicazioni che oggi si chiamerebbero di informatica distribuita. La tecnologia elettronica era ancora molto costosa, ma già gli occhi più attenti potevano intravedere la possibilità di progettare e realizzare piccole applicazioni a costi ragionevoli. In questo, le visioni prospettiche a Borgolombardo e a Ivrea erano nettamente diverse: di fatto erano stati sviluppati un lettore di assegni con caratteri magnetici (quelli che ancora oggi compaiono sulla riga inferiore degli assegni), un'unità elettronica con 10 registri di memoria, per espandere il limitato numero di totalizzatori (3 max) delle Audit, e un'unità elettronica di moltiplicazione (UME), prodotta e commercializzata con successo.


Nella situazione venutasi a creare nel '64, il piccolo gruppo di progettisti diretto da Perotto era ben poco noto o considerato con scarso interesse da parte dell'establishment di Ivrea, con un'importante eccezione costituita dal dott. Roberto Olivetti. Al momento del passaggio della DEO a General Electric, Perotto, allora operativo presso il Laboratorio di Pregnana, decise, apparentemente contro ogni logica, di restare in Olivetti. In realtà c'era in lui la consapevolezza che la realizzazione del progetto da tempo accarezzato non potesse in alcun modo trovare spazi presso la General Electric, mentre qualche reale possibilità rimanesse presso Olivetti.
Qui si viveva in un clima di pesante incertezza organizzativa, conseguente alla drammatica cessione della Divisione Elettronica e all'attesa della grande ristrutturazione, che avrebbe da lì a pochi mesi riorganizzato le attività operative della casa madre in due settori: da una parte la Divisione Macchine per Ufficio, in cui erano collocate tutte le attività strategiche e che assorbiva più del 90 % delle risorse; dall'altra la Divisione Sistemi, cui erano stati assegnati le telescriventi, le contabili meccaniche e poco altro.
Quasi certamente, il personale rapporto con Roberto Olivetti e Capellaro fu determinante per Perotto che, senza interferenze aziendali, poté completare il suo progetto, fino alla realizzazione del prototipo finale: così pochi mesi dopo, nell'ottobre '64, la Perottina (come era chiamata la macchina dagli addetti ai lavori di Ivrea) avrebbe sorpreso e meravigliato i dirigenti importanti dell'Olivetti e creato qualche imbarazzo all'Alta Direzione.
È interessante ascoltare dalla stessa voce dell'ingegner Perotto la descrizione incisiva e autoironica di quei momenti: "Olivetti aveva mantenuto una peculiarità singolare: quella di consentire a chi non ha il cattivo gusto di andare a chiedere cosa può fare di utile, domanda sempre imbarazzante, di godere di una invidiabile libertà. Un'altra domanda che ritenni non opportuno porre ad alcuno era da chi mai noi dipendevamo. In altre parole, invece di preoccuparci più di tanto del nostro stato di abbandono, di essere senza capi e senza lavoro, cercammo di individuare uno scopo e un obiettivo […] feci presente che il mio programma di lavoro era quello di esplorare la possibilità di utilizzare l'elettronica in futuri piccoli calcolatori di fascia più alta di quella coperta dalle soluzioni in fase di progetto a Ivrea, ma non a livello dei grandi e costosi calcolatori esistenti sul mercato."
L'azienda, nel frattempo, impegnava in uno sforzo gigantesco personale e risorse per la realizzazione della super calcolatrice meccanica scrivente Logos 27, basata su complicati e sofisticati ingranaggi e meccanismi. Era questa la carta da giocare al BEMA show, la grande mostra mondiale delle macchine per l'ufficio, programmata nell'ottobre del '65 a New York.
L'inizio operativo del progetto risaliva alla primavera del '62 a Borgolombardo: l'idea prendeva corpo in quel periodo con i primi studi di fattibilità, ma alcune idee di fondo originavano già dalle esperienze di ricercatore del neolaureato ingegner Perotto, che si occupava di aerodinamica al Politecnico di Torino. Era la seconda metà degli anni Cinquanta e gli aeroplani a uso civile cominciavano a viaggiare a velocità prossime a quella del suono. Occorreva pertanto verificare che le strutture portanti degli aerei non cedessero sotto le sollecitazioni provenienti dall'alta velocità. I calcoli necessari agli studi venivano effettuati uno per uno dai ricercatori tramite sofisticate calcolatrici meccaniche: per giornate intere si introducevano manualmente lunghe serie di dati e ogni minimo errore significava l'azzeramento di ore di lavoro. Così per giorni e giorni, arrivando esausti al termine di ogni giorno. Lì nacque il sogno, come confesserà più tardi Perotto, di una macchina "che fosse in grado non solo di compiere calcoli complessi, quanto di gestire in modo automatico l'intero procedimento di elaborazione".
Il problema si ripresentava analogo a tutti gli studenti di ingegneria dell'epoca (in molti casi futuri progettisti), tediati dai noiosissimi calcoli delle strutture in cemento armato o del dimensionamento delle macchine elettriche; e tutti spesso presi dallo sconforto di ripetere fino alla nausea formule sempre uguali per numeri sempre diversi. Certo quella macchina era il sogno nel loro inconscio collettivo, sfortunatamente senza la possibilità o la capacità di realizzarlo.
Il tema preciso del lavoro di sviluppo si definì nella mente delle persone del laboratorio progetti solo alla fine del '63, in base alle conoscenze messe a punto con la realizzazione del primo prototipo, con prestazioni e dimensioni ancora in evoluzione, ma che avevano già consentito di estrapolare le caratteristiche finali di uno strumento di calcolo del tutto nuovo. Lo sviluppo del prototipo definitivo (la Perottina), iniziato nella primavera del '64, è già in fase di avanzata messa a punto, quando viene siglato l'accordo con la General Electric.
La libertà di azione che Capellaro lasciò a Perotto in quel periodo critico è da attribuirsi alla stima personale che egli nutriva nei confronti del giovane brillante progettista e al genuino interesse per questo suo progetto. La prima persona a cui Perotto tenne far vedere il prototipo funzionante fu proprio Capellaro. Lo accompagnò personalmente a vedere la macchina appena assemblata e gli mostrò alcuni programmi provati nei giorni precedenti, che riproducevano alcuni calcoli che venivano fatti più frequentemente negli uffici con sequenze manuali con la Divisumma 24 e che la Perottina realizzò automaticamente, stampando con grande velocità lunghe sequenze di risultati.
Capellaro osservò con grande attenzione le fasi del lavoro, accarezzò la macchina delicatamente, come se volesse sentirne palpitare i meccanismi sotto le sue dita sensibili di progettista, e restò a lungo in silenzio come assorto. Quando si riprese, batté una mano sulla spalla di Perotto e disse: "caro Perotto, vedendo funzionare questa macchina, mi rendo conto che l'era della meccanica è finita".
Ecco dunque la verifica delle grandi doti di Perotto, capace di avere una visione che precorreva i tempi, ma anche di riuscire a renderla progetto e a realizzarla concretamente, conquistando la stima professionale e umana delle persone intorno a lui, anche quando le sue intuizioni sembravano in evidente contrapposizione con le strategie aziendali del momento. Era deciso un rientro in grande stile nel mercato mondiale.

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