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I difficili ultimi anni '50 dell'azienda Olivetti

Giova forse ricordare che in Italia non vi fu alcun sostegno da parte dei governi del tempo alla nascente industria elettronica. Nessuna parte politica seppe cogliere l'opportunità che veniva data al sistema paese, di avviarsi con un'industria nazionale verso la modernizzazione, come invece avveniva in tutte le nazioni dove i computer si stavano diffondendo (Stati Uniti per primi, ma anche Francia, Germania e Inghilterra).

Purtroppo gli ultimi anni '50 segnarono l'Olivetti con una serie di drammatici eventi, che tutti insieme minarono alla base la stessa struttura aziendale, decretando di fatto la fine di un periodo leggendario e forse irripetibile. Il primo e il più grave fatto fu l'improvvisa morte di Adriano, che avvenne nel febbraio del 1960; il secondo fu ancora una morte, questa volta dell'ingegner Tchou, dovuta a incidente d'auto a fine '61; infine, negli anni tra il '63 e il '64, si affievolì fino a spegnersi il miracolo italiano che era seguito al secondo dopoguerra e aveva significato per il Paese uno sviluppo senza precedenti, con conseguenti ricadute di benessere su tutto il sistema.
Questi eventi colsero l'Olivetti in una fase di trasformazione, col bisogno impellente di un forte impegno economico da parte della proprietà. Purtroppo, gli eredi non erano all'altezza delle generazioni precedenti. Così l'azienda, in particolare sotto la guida di Roberto e del cugino Camillo, si avviò a diventare una nobile bottega multinazionale, dove gli eredi si occupavano prevalentemente di controllarsi a vicenda. Nel '63, dopo molti travagli, in un delicatissimo gioco di equilibri e tra enormi conflitti di potere, veniva nominato alla presidenza Bruno Visentini, allora vicepresidente dell'IRI.
In quello stesso periodo l'Olivetti, in evidenti difficoltà finanziarie, crollava anche in Borsa. Si venne allora configurando un gruppo di intervento per il salvataggio dell'azienda, cui parteciparono principalmente Mediobanca, Fiat, IMI, Centrale e Pirelli, successivamente entrati nel '64 nel capitale sociale con il 35% ceduto dalla famiglia.

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