Nel 1964 viene dunque costituita la OGE (Olivetti-General Electric), in cui l’azienda americana ha il 75% del capitale. Successivamente la GE acquisirà il rimanente 25% e la nuova società prenderà il nome di GEISI (General Electric Information Systems Italia).
Che cosa è successo in seguito?
Al momento della cessione, la Divisione Elettronica Olivetti presenta una struttura completa, dalla ricerca alla vendita, con un organico di oltre 2.000 persone, di cui 500 nel centro di R&S di Pregnana(*).
La General Electric si trova quindi una organizzazione pienamente operativa. Eredita, inoltre, un nuovo progetto, praticamente già fatto. Il nome interno è ELEA 4001, è un elaboratore di fascia bassa, concepito per aziende ed enti di medie dimensioni. Questo sistema viene messo sul mercato col nome di ELEA 4-115 ed evolve rapidamente in un nuovo prodotto, denominato GE 115, che costituirà il primo modello della cosiddetta linea GE 100.
Gli elaboratori della linea GE 100, interamente progettati e fabbricati in Italia, ebbero un grosso successo sul mercato mondiale. Ne furono venduti oltre 4.000, di cui il 60% negli USA, il mercato più esigente e sofisticato.
Occorre dire che questo successo fu tutt’altro che facile. Oltre a essere competitivi sul mercato esterno, bisognava esserlo anche nel contesto interno della General Electric. Questa era, infatti, un’azienda di alta capacità tecnologica; non bastava, quindi, presentare agli americani degli ottimi progetti, occorreva superare anche la sindrome del not invented here. La validità del prodotto italiano venne comunque riconosciuta e la General Electric lo adottò come modello standard nella fascia media della propria linea di elaboratori.
Perl a General Electric l’operazione fu sicuramente un buon affare. La consociata italiana già nel 1966 va in attivo e successivamente presenta bilanci decisamente floridi.
Epilogo
Nel suo saggio Informatica: una occasione perduta, Lorenzo Soria ripercorre questa vicenda, sottolineando alcuni dati di fatto: la miopia della classe imprenditoriale, il disinteresse dei politici, l’assenza delle istituzioni, l’inettitudine del sistema bancario, il silenzio dei media.
Tutte critiche pienamente condivisibili. Obbiettivamente, però, si deve dire che per competere a tutto campo sul mercato internazionale, come era d’altronde necessario, occorrevano risorse finanziarie che la Olivetti da sola non possedeva.
Le ipotesi sottostanti sono una produzione complessiva di almeno 3.000 elaboratori e una vita media in clientela di 4 anni. Si suppone, inoltre, che i sistemi non siano venduti, ma dati in locazione, secondo una prassi commerciale imposta al mercato dalla IBM. Tale prassi, fortemente penalizzante per tutti gli altri concorrenti, venne poi a cadere, per effetto della legislazione antitrust americana, ma solo diversi anni dopo gli eventi di cui stiamo parlando.
Il mercato italiano (ma, in pratica, qualsiasi mercato nazionale) era, da solo, insufficiente. La sfida era indubbiamente grande, come confermarono le vicende successive del settore dei mainframe in Europa.
Ciò non toglie che mancò allora alla nostra classe imprenditoriale la volontà di competere e a quella politica la sensibilità per un settore che si delineava strategico per lo sviluppo del Paese.
La storia dell’ELEA, pur lontana e dimenticata, è tuttavia attuale. È, infatti, emblematica di una deriva industriale che, salvo rare eccezioni, sembra ormai caratterizzare il panorama di questo Paese.
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